“Ragazza, donna, altro”: la complessità del presente

Ragazza, donna, altro, di Bernardine Evaristo
(edizioni SUR, 2020 – trad. M. Testa)

Immaginate che tra cinquant’anni vi venga chiesto un libro, uno solo in grado di descrivere l’epoca che stiamo vivendo, il momento di transizione tra gli anni Dieci e gli anni Venti del nostro secolo. È difficile stabilire adesso la risposta a questa domanda: di solito il tempo è il miglior giudice della letteratura e potrebbe essere complicato tirare a indovinare su quali tra le migliaia di opere pubblicate ogni anno del mondo sapranno parlare anche alle nuove generazioni.

Mente leggevo Ragazza, donna, altro, il romanzo firmato da Bernardine Evaristo in libreria da qualche mese per Edizioni SUR nella traduzione di Martina Testa, però, non ho avuto dubbi: ho saputo che, se esiste un libro in grado di descrivere la nostra epoca, è proprio questo. La mia epifania non è stata causata solo dall’attualità dei temi trattati, ma dalla consapevolezza che questo romanzo è uno dei rari casi, in letteratura, in cui l’autore non sta parlando né al passato né al presente, ma al futuro, raccontando contemporaneamente chi siamo, da dove veniamo e come vorremmo diventare.

Il romanzo, già caso editoriale nel Regno Unito e premiato al Man Booker Prize 2019 a pari merito con I testamenti di Margaret Atwood, si presenta in una veste innovativa e sperimentale già dallo stile: nella scrittura di Evaristo la forma della frase, l’uso della punteggiatura e l’attenzione al ritmo sono tipici della forma poetica, ma la struttura narrativa è decisamente romanzesca. L’opera si colloca quindi sul crinale tra i due generi, producendo un risultato unico e avvincente: l’impressione, durante la lettura, è di partecipare ad un ininterrotto flusso di pensieri collettivo.

Ragazza, donna, altro è infatti il racconto corale di dodici donne, tutte in qualche modo legate alla prima di uno spettacolo al National Theatre di Londra, L’ultima amazzone del Dahomey. Ci sono Amma, la regista, sua figlia Yazz  e le sue amiche Dominique e Shirley. C’è Morgan, che assiste allo spettacolo come ospite di riguardo in virtù del suo attivismo per i diritti delle persone non-binary, e Carole, donna d’affari, che invece alla prima c’è stata quasi trascinata e non si sente affatto a suo agio tra tutte quelle persone creative, intense, diverse. E poi ancora Winsome, Bummi, Penelope, Hattie, Grace, LaTisha: a ognuna di loro è dedicato un capitolo, un’occasione per raccontare la propria storia dal proprio punto di vista. Il capitolo finale, in cui quasi tutti i personaggi si ritrovano insieme al rinfresco dopo lo spettacolo, suggella quindi in un unico momento collettivo quasi un secolo di dolori, scelte, rinunce individuali e spesso segreti.

Le dodici protagoniste sono tutte donne nere o di discendenza nera, in alcuni casi lesbiche, dalla sessualità complessa e cangiante. Questa scelta potrebbe essere accusata di essere didascalica (a fronte delle migliaia di romanzi con protagonisti maschi bianchi etero prodotti negli ultimi secoli) o al contrario pleonastica: si potrebbe arguire che il sesso o il colore della pelle dei personaggi non dovrebbero essere così importanti in un’opera letteraria, o almeno non dovrebbero essere elementi di scalpore. A dispetto di quello che la letteratura dovrebbe essere, tuttavia, Ragazza donna altro ha per protagoniste dodici donne nere britanniche e funziona per questo: il presente ha bisogno di ascoltare le voci di chi è innegabilmente diverso, prima che possiamo tutti concordare sul fatto che le differenze non sono più importanti.  

Nel romanzo di Evaristo, infatti, è emblematico notare come l’unica cosa che tutte le protagoniste hanno in comune è proprio il fatto di essere nere e donne: se ci fosse ancora bisogno di ribadire che condividere l’appartenenza ad una minoranza non è un motivo sufficiente a stabilire una qualche forma di unione o almeno dei principi condivisi, in Ragazza, donna, altro questa verità emerge forte e chiaro. Tra le protagoniste ci sono donne razziste, donne omofobe, donne colte e donne non istruite, donne che hanno votato per la Brexit, donne transfobiche e donne che militano nell’estrema sinistra. Sperimentare l’oppressione non basta per ripudiare qualunque forma di discriminazione e l’autrice ci ricorda che il femminismo intersezionale è un obiettivo da perseguire con un duro lavoro di autoanalisi e informazione e non potrebbe essere più lontano dall’utopia retorica della solidarietà femminile.

Le protagoniste sono divise in quattro gruppi: in ognuno c’è almeno una donna che orbita intorno ad Amma, la regista dello spettacolo e primo personaggio presentato. Ad ognuna di loro corrisponde, come contraltare, la narrazione della propria madre o della propria figlia: il romanzo restituisce quindi al lettore quattro esempi complessi, diversi e sfaccettati di maternità. La cifra comune di questi legami è l’incomunicabilità tra madri e figlie e l’esistenza di segreti più o meno scabrosi  tra loro.

Le madri desiderano per le figlie una vita compatibile con le loro aspettative, le figlie non riescono a guardare le madri come esseri sfaccettati e vivi, ne minimizzano le preoccupazioni e non immaginano invece i drammi e le scelte che sono costrette ad affrontare. Se l’ossessione di una generazione pare esser stata quella di uccidere il padre per affermare la propria identità, Ragazza donna altro ci ricorda che non possiamo permetterci di uccidere le nostre madri. È impossibile affrontare il futuro in maniera davvero intersezionale senza riconoscere la complessità che a loro è stato negato di esprimere: bisogna invece ascoltarle.

Bernardine Evaristo ha dato voce a personaggi e minoranze che raramente trovano spazio in letteratura: la signora delle pulizie che passa le sue giornate a riordinare le case dei ricchi, l’insegnante di liceo frustrata, la ragazza madre che desidera solo ottenere un posto di lavoro fisso, la donna di mezza età poliamorosa che rifiuta con naturalezza i dogmi e le imposizioni della monogamia. Le sue donne sono vive, hanno problemi reali e mentre parlano ci raccontano il mondo in cui viviamo e il mondo in cui vivremo: non resta dar loro l’ascolto che si meritano.

Loreta  Minutilli

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