“Marie aspetta Marie”, la riscoperta di Madeleine Bourdouxhe dopo 80 anni

Marie aspetta Marie – Madeleine Bourdouxhe
(Adelphi)

88f09bd54342ab28238bf0df938f4bac_w240_h_mw_mh_cs_cx_cyL’amore batte secondo le pulsazioni del tempo, come battono tutte le cose viventi. Si rafforza o si sgretola, declina e si risolleva. Se è vivo può morire. Ed è questo il suo bello. Una cosa è grande e commovente solo quando contiene una possibilità di morte“. Marie lo capisce in un giorno d’estate, quando per caso si distrae dal sentimento che prova per il marito Jean e improvvisamente si ritrova a guardare negli occhi un giovane ragazzo sdraiato accanto a lei, in Costa Azzurra.

Fra i due non c’è bisogno di parole, c’è un incontro che dura poco e che è intenso già di per sé. D’altronde, “sanno che non c’è niente da dire. Accettano tra loro quel silenzio, la ricchezza, la sincerità di quel grande silenzio. Sanno pure che in quel momento vedono ogni cosa dalla stessa prospettiva e che, per entrambi, quella vela rossa sul mare spicca netta, aspra, crudele come quella cosa che è in loro”.

Ed è da queste prime pennellate inaspettate, da questo matrimonio fra Marie e Jean che sembra sgretolarsi nonostante le amiche li credano felici e appagati, che si sviluppa il secondo romanzo introspettivo della belga Madeleine Bourdouxhe, dato alle stampe nel 1943 e poi rimasto a lungo nel dimenticatoio, quando l’autrice ha deciso di interrompere le trattative per la pubblicazione in Francia con Gallimard, infastidita dalla cooperazione della casa editrice con i nazisti.

In Italia è arrivato dunque solo nel febbraio 2018, con la traduzione di Graziella Cillario. Il titolo originario è A la recherche de Marie, che apertamente richiama un’altra celebre ricerca, ovvero quella proustiana. L’eco dello scrittore arriva comunque con forza e poesia, fra una riflessione e l’altra della protagonista e fra le sue scelte di vita sempre meno scontate.

Da moglie devota, amica borghese e madre parigina, Marie diventa infatti un’altra. Si specchia nella città che abita e nei ricordi dell’infanzia, confronta il proprio desiderio e la sua rinnovata joie de vivre con il suicidio della sorella, e lentamente si rende conto di essersi perduta chissà dove, di non trovarsi più da chissà quanto tempo. Per rimettersi in contatto con sé stessa parte allora da un biglietto e da un numero di telefono, e si mette in contatto con il ragazzo che ha incontrato durante le vacanze estive.

I due sono di poche parole e si dànno appuntamento. Marie sale su un treno, entra in un albergo ad ore, fa l’amore con lui. Con naturalezza, o comunque nel tentativo di non infangare la sensazione di benessere che la pervade. Sa di essere legata indissolubilmente al marito e non mette in dubbio ciò che prova nei suoi confronti, così come non idealizza la relazione sensuale con il giovane e non si aspetta da lui alcun futuro. Semplicemente, si libera dalla dipendenza del primo rapporto e riscopre la passione nel secondo, rimanendo fedele a entrambi in un equilibrio sottilissimo e mozzafiato.

Il talento della Bourdouxhe, in un volume peraltro di sole (e densissime) 150 pagine, consiste proprio in questo: da amica di Simone de Beauvoir e da femminista convinta, d’altronde, non avrebbe potuto essere altrimenti. Tira fuori Marie dagli schemi della società, dai preconcetti di certe classi sociali e dai timori per la guerra intanto in corso, che non a caso appare solo sullo sfondo della vicenda e quasi di sfuggita. Le fa intraprendere una ricerca costellata di interrogativi, di dubbi e di contraddizioni, che tuttavia si conclude in maniera sana.

Marie non è, infatti, una sposa fedifraga o una madre snaturata. Non è neppure una libertina e non è di certo priva di valori morali, anzi. La sua forza risiede nell’avere sviscerato la natura di determinate pulsioni, nell’avere assecondato i suoi stati d’animo e nell’essersi donata alla vita, senza mai rinnegare chi è stata o cosa ha costruito, quanto piuttosto recuperando una visione d’insieme che non esclude niente e che non mistifica ciò che esiste.

È solo così che il personaggio riesce a riconoscersi dopo numerosi ostacoli, a capire chi è e a sostenere di chiamarsi “Marie e basta”. Senza cognomi, né di Jean né della famiglia d’origine, e senza aggettivi o accompagnamenti di sorta. Marie scivola nella spirale della felicità e si rassegna solo quando realizza che non c’è nulla da afferrare o da “appendere in casa come un rametto di vischio”: si rende conto delle forme fuori dall’ordinario che può assumere l’amore e si convince dell’esistenza di un “qualcosa che non dipenda da tutto il resto, che le faccia essere se stesse. E che dovrebbe sempre impedire di uccidersi… quella cosa preziosa che bisogna protendere avanti, come un ostensorio”.

Ed eccola, questa protagonista schierata contro il bovarismo e le convenzioni, emergere in tutta la sua integrità e vitalità, scolpita fra le righe di un romanzo tanto insolito quanto accattivante, che ha molto da insegnare e ancora di più da regalare. Anche dopo tutti questi anni.

(Eva Luna Mascolino)

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