I frammenti senza contorni di Francesca Valente

Altro nulla da segnalare, Francesca Valente
(Einaudi, 2022)

978880625266HIG‹‹Il reparto sembra avviato alla normalità››: questa frase, apparentemente innocua, potrebbe essere una semplice nota di una casa di cura, se non fosse che si riferisce ad un reparto psichiatrico, quello dell’Ospedale Mauriziano di Torino, uno degli esperimenti di reparto “aperto” che negli anni ’80 lasciava libertà di entrata e di uscita ai propri pazienti, in pieno spirito basagliano. L’ironia di questa frase racchiude un po’ tutto Altro nulla da segnalare, esordio di Francesca Valente – vincitore all’unanimità il Premio Calvino 2021 e del Premio Campiello Opera Prima 2022 – che racconta proprio quella esperienza del Mauriziano.

Ad essere ironica è anche la frase da cui è tratto il titolo del libro, una formula che a volte chiudeva i cosiddetti “rapportini”, ovvero comunicazioni informali su cui medici e infermieri annotavano laconicamente gli avvenimenti principali (e spesso drammatici) accaduti durante il turno. Valente mette insieme proprio questi rapportini – che le furono consegnati anni fa da colui che diresse per qualche anno il reparto, lo psichiatra Luciano Sorrentino – alternandoli a momenti di finzione in cui cerca di “riempire” gli spazi vuoti, ricostruendo la vita delle persone citate, delle cui reali esistenze non sapremo mai nulla.

I rapportini fanno così quasi da fil rouge in una raccolta di racconti dotata di una inaspettata leggerezza, nella quale il tema della malattia mentale è trattato in modo profondamento inedito. Valente priva infatti questi personaggi della gravità (il sottotitolo del libro è proprio “Storie di uccelli”), attraverso un’operazione analoga a quella dello stesso Sorrentino, della quale ad un certo punto si enuncia la “poetica esistenziale”:

‹‹(…) qualunque fosse stata l’impresa alla quale si sarebbe dedicato l’avrebbe affrontata operando sempre, o almeno la maggior parte delle volte, una sottrazione di peso, pena la pietrificazione di se stesso.›› (p. 163)

In Altro nulla da segnalare la follia è però citata molto poco: essa non è vista come uno stato mentale alterato rispetto ad una “norma”, ma è piuttosto una fonte di conoscenza, una modalità con cui questi personaggi esistono e reagiscono alla vita. Essa è quindi l’opposizione all’incancrenirsi dell’idea e della ragione, la quale è ‹‹un’intrusa››, un evento come tanti nell’Universo che però ha la pretesa di darci l’illusione dell’unità. La pazzia ci mostra la natura fluida della mente, che è ‹‹una specie di specchio che passeggia per le strade››[1] e ci dimostra quanto ogni conoscenza della realtà come ordine sia illusoria. Insomma, la vera follia sta nel non accettare il caos, proprio come sostiene il “matto” anarchico Debernardi, cui è dedicato un capitolo di notevole bellezza, scritto in una lingua vaga ed al tempo stesso così precisa nei dettagli.

Valente descrive questi personaggi dall’Io multiplo e caotico senza mai definirli, se non a partire da frammenti i cui contorni sono sempre sfumati. Questo sfondamento del confine tra finzione e realtà, tra follia e sanità mentale, è però una profonda esperienza di verità, la quale non si identifica con la totalità, ma piuttosto con ciò che è parziale ed imperfetto. Per vedere veramente le cose non bisogna fare altro che smettere di definirle:

‹‹Allora si può credere (…) che vedere sia dimenticare il nome di ciò che si è visto, che perdersi nella visione implichi sfumare i confini delle cose per coglierne il senso più nascosto›› (p. 18)

Sfumare i contorni di questi frammenti di vita non fa che illuminarli, in una lingua che, preziosa e raffinata, è accostata all’elegante e discreto torinese (le cui frasi, purtroppo non tradotte in nota, non sono sempre di facile comprensione), ma che è anche letteraria nel senso più alto del termine: con la sua originalità discreta è essa in grado di aprire porte sull’inaspettato. Questa raffinatezza linguistica non si compiace mai di sé stessa, ma dialoga con quella, goffa e sgrammaticata, dei rapportini, che con i loro “qui” al posto di “cui”, “incollumità”, “accuminato”, risulta sempre estremamente vera e sincera.

La rigorosa vaghezza di Valente ha però anche un valore profondamente politico, perché resiste a quell’idea di poter marcare in maniera netta il confine tra sano e malato che è propria dell’istituzione totale dei manicomi, contro cui si battevano Basaglia e lo stesso Sorrentino. Questi non-luoghi non fanno che dare l’illusione di una “pulizia” che cela una profonda violenza, realizzando un ordine che, in quanto tale, è profondamente falso.

Giacomo De Rinaldis

[1] p. 43

Foto di copertina di Aleksandar Pasaric da Pexels: https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-monocromatica-di-stormo-di-uccelli-in-volo-1386454/

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