Fedeltà, Marco Missiroli
(Einaudi, 2019)
Nel bene e nel male, tutti ne parlano, lo leggono, lo cercano, lo criticano e commentano. Fedeltà è l’ultima pubblicazione del pluripremiato scrittore riminese Marco Missiroli, che i più ricordano per il chiacchieratissimo bestseller Atti osceni in luogo privato (Feltrinelli, 2015), ma che è anche autore di altri quattro romanzi (Senza coda, Il buio addosso, Bianco, Il senso dell’elefante) pubblicati (e ripubblicati) da tre editrici diverse tra il 2005 e il 2016. Missiroli ha collezionato una quantità ragguardevole di premi letterari in questo quindicennio; ciò ha comportato come naturale conseguenza il gravare di un carico di aspettative notevole su questo nuovo volume, uscito per Einaudi lo scorso 12 febbraio.
Fedeltà non ingrana subito. Veniamo catapultati nel bel mezzo di una situazione incerta, il “malinteso”, tale da introdurre un elemento di crisi che però sembra confinato a restare nel piano del potenziale; un elemento che non si sa come gestire, perché presenta di sé solo una faccia alla volta. La scomposizione dell’evento è favorita dal centellinamento della narrazione, che attraversa in due soli grandi capitoli (più una breve conclusione) le vite dei cinque personaggi principali nel giro di dieci anni, passando dall’uno all’altro con facilità, senza pause forti. E il “malinteso” finisce per influenzare tutti, in modo più e meno consapevole.
Una volta ritrovatisi sul binario giusto, il racconto scivola via rapido, in sinergia con una scrittura sicura di sé, a volte fin troppo: vi sono, infatti, cadenzati con disinvoltura, dialoghi e sezioni che sembrano echeggiare quel certo manierismo astratto di baricchiana memoria, costruiti con attenzione per affascinare e, forse, seminare facili trappole. Ma, fortunatamente, il romanzo compensa con brani efficaci, piacevoli ma precisi, insomma tali da farci quantomeno tollerare i momenti di cedimento.
Fedeltà è una riflessione sull’infedeltà e un intreccio di storie in cui è difficile non ritrovarsi almeno in parte, abbracciando il punto di vista di uno dei protagonisti, tutti di età e background diversi, ciascuno con le proprie ombre a cui badare. Da Carlo – “un figlio di papà che fa finta di no” – a sua moglie Margherita, dall’anziana madre di quest’ultima – Anna, tanto discreta quanto sovversiva – alla giovane studentessa Sofia, fino al complicato fisioterapista Andrea.
Niente titani o superuomini, solo persone assolutamente comuni che frequentano giri poco raccomandabili o acquistano case troppo costose per una certa idea di status symbol. Diversi volti di una medietà riconoscibile in sé, per le strade, tra le frequentazioni. Le ambientazioni principali sono Milano e Rimini, rispettivamente città d’adozione e natale dell’autore e quindi descritte con realismo e dovizia di particolari.
Il tradimento, in questo romanzo, assume varie forme, richiama a volte meditazioni un po’ vintage che sanno dei tempi andati (ma andati davvero?) dell’uomo cacciatore e della donna tentatrice, della polarità femminile santa o troia, moglie e madre oppure ninfa seduttrice. Ma non mancano pensieri che cercano una sospensione del giudizio se non una giustificazione, una sublimazione dell’infedeltà come unico vero modo per essere (o tornare ad essere) fedeli, a se stessi o al partner:
“Del resto, cosa avrebbe tolto un corpo nuovo al suo matrimonio? Magari non le sarebbe piaciuto nemmeno. Magari avrebbe fatto scaturire nuova linfa miracolosa per il loro sentimento. Quanto detestava la psicologia da due soldi: riportare il tradimento all’infelicità.” (p. 98)
“… il senso di colpa era un processo banale. La realtà dei fatti, la grande realtà dei fatti, era che era stato naturale.” (p. 141)
“Man mano aveva visto quelle esperienze come necessarie – una formazione per se stesso –, e ora se le ripassava in mente come lumi flebili, quasi didascalie: ne aveva avuto bisogno, era stato capace. Ora sentiva di aver oltrepassato il cliché del tradimento, la necessità fisiologica del tradimento, l’evasione del tradimento, la curiosità del tradimento, la risposta a un’insoddisfazione che il tradimento rivelava.” (p. 161)
Il linguaggio viaggia dal delicato al crudo, senza esplorare la sfera del lirismo ma conferendo comunque una riuscita particolarmente intensa ad alcuni passaggi. La scrittura è allenata. Sa cosa piace, vuole piacere camuffando un certo compiacimento. Fedeltà è un’opera che finora ha suscitato pareri estremamente contrastanti. E non stupisce che se ne vociferi a proposito dello Strega…
Alessia Angelini